Pubblicato in: Racconti

AVVIANDOSI VERSO LA CHIESA


Avviandosi verso la chiesa, Giovanna ebbe la sensazione di non essere sola: si voltò e quello che vide non la stupì più di tanto. Erano già parecchi giorni che quel bel giovane moro, alto e robusto la seguiva dappertutto lei andasse.
Riprese a camminare, rimproverandosi nel frattempo per non aver già chiarito la situazione, per non aver affrontato quel segugio.
Dopo essere entrata in chiesa, già si sentì meglio: stare in mezzo a tutta quella bella gente gioiosa che esprimeva la propria fede con il sorriso e con il canto la faceva stare bene dentro ed era solo per questo che vi andava. In realtà lei credeva solo nella gente.
Seguì con attenzione la celebrazione dimenticandosi della sua preoccupazione iniziale, ma all’ uscita della chiesa, purtroppo, mentre si avviava a scendere le scale, eccolo lì, il giovane.
Questa volta le era accanto, a gomito a gomito e la guardava con due occhi verdi, intensi e profondi: un un bosco alpino durante la stagione estiva, un meraviglioso smeraldo,Giovanna riportò quella profondità ad immagini.

Ciò che, comunque, quello sguardo le lasciò fu una sensazione di calma interiore, di serenità, di tranquillità, di pace.
Chi era quel ragazzo? Che cosa voleva da lei?
Giovanna ripassò nella mente la propria immagine: un’impiegata postale di trentacinque anni, fisicamente ancora attraente e giovanile, sebbene avesse una famiglia da portare avanti; già due figli, due meravigliosi figli che rappresentavano il mondo per lei.
Durante gli anni di matrimonio c’erano stati momenti tristi, malinconici, bui, ma tutto sommato c’era ben poco rimpiangere perché le scelte che Giovanna aveva fatto erano state sempre ben ponderate.
Distratta dai suoi pensieri, Giovanna non si era accorta che il ragazzo moro non si era distaccato da ieri e, anzi, si avvicinava sempre di più ed ora stavano camminando come se fossero stati una coppia durante la passeggiata domenicale.
Fu allora che Giovanna, dopo aver fatto un profondo respiro, si fece coraggio.
– Che vuoi? Chi sei? Perché stai diven-tando la mia ombra? Non ti conosco! –
La voce di Giovanna uscì, contrariamente all’intenzione, calma, pacata, quasi atona.
L’uomo continuò a camminare in silenzio accanto a lei osservandola con intensità, senza lasciar trapelare alcuna emozione: assenza di parole, assenza di gesti.
Allora Giovanna continuò a parlargli e la sua voce si fece più dura:
– Non ti permetto di essere così invadente! Questa è mancanza di rispetto – poi continuò in modo più dolce – ma non capisci che così facendo sarò costretta a denunciarti? Vuoi andartene? Per piacere! –
L’ultima frase fu detta in modo angosciato, stanco, lo stava scongiurando.
Giovanna si rimproverò nuovamente, si chiese mentalmente il perché di questo suo atteggiamento così contraddittorio;non riusciva a prendere una posizione di fronte a questa situazione? Una posizione della giustezza della quale era perfettamente conscia? Proprio a lei: la donna dei “mai dubbi mai”!

Non ci fu risposta dal suo cuore e nemmeno la sua mente obbedì al comando. Silenzio. Il dispiacere accorato che Giovanna sentiva le fece venire il magone.
I suoi occhi ritornarono su quel giovane uomo, bello, moro, con gli occhi verdi pieni di pace: quell’uomo, lei non voleva ammetterlo, somigliava straordinariamente a qualcuno, un qualcuno che era stato molto importante per lei tanto tempo fa, tanto, troppo.
Piero, il grande rimpianto della sua vita! Erano giovani, erano piccoli, era stato un lampo di un temporale estivo, ma quale e quanto amore! Strascichi, grandi contraccolpi, sì che ce ne erano stati, soprattutto per lei: pena e patimento, sofferenza e spasimo.
Sul cuore di Giovanna c’erano cicatrici brucianti, una, la più profonda, sanguinava ancora. Dicevano che non poteva capire. Sprazzi di ricordi, sprazzi di immagini sfuocate che pian piano si fanno più nitide e si accompagnano a parole imprecise, lontane, suoni di eco. Un percorso vivo ancora, lucido, colorato e in bianco e nero.
E’ come stare in una stanza al buio, seduti a vedere diapositive: flash di luci intense si alternano a secondi di buio tenebroso, istanti di pensiero.
– Quanti anni hai? –
Chiese Giovanna a bruciapelo al bel ragazzo moro che questa volta rispose con un sussulto: – Diciannove, li compirò a maggio –
La voce dal tono grave e importante, fu udita da Giovanna per la prima volta e fu di intensità fortissima. Quella voce entrò dai timpani e si mise comoda nella mente di Giovanna. Solida poderosa e possente: dolorosa. Dolorosa e basta.
Giovanna si girò di scatto, lo guardò ancora negli occhi, si perse nei meandri di quel bosco ed avvertì l’intensità dell’anima: ormai era una certezza.
Quello era suo figlio, il figlio del peccato, colui che aveva scordato ma mai dimenticato!
Proseguirono il loro cammino, a fianco a fianco, come forse avrebbero dovuto fare un giorno.
Si allontanarono dalla chiesa.
Le videro andar via di schiena quelle due figurine, mancava solo la parola fine come a conclusione di un film.
Ma la storia era appena iniziata, una nuova storia da raccontare.

Ilidia Comparini – La strega vera

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I bravi

…. E poi ci sono i bravi. No, no, ragazzi, non quelli dei Promessi Sposi.
I bravi sono quelli che si credono sempre nel giusto: al momento giusto, nel posto giusto, con il vestito giusto, con il capello giusto, con la parola giusta, e via dicendo.
Quelli che ogni cosa al suo posto, e che ma noooo! Che dici? Non è così!, oppure quelli che ma non va bene, non si fa così, e che, infine, te lo dico io come si fa.
Insomma, quelli che si ergono a MODELLI DI VITA e che ti si pongono davanti come l’Esempio, che ti lasciano intendere di essere i Migliori, che lasciano sottintendere, ad ogni piè sospinto, di avere messo nella loro cassaforte del pensiero un misero pizzinno sul quale è trascritta la ricetta della vita, con strategie e piani alternativi per ogni fallimento momentaneo. Si narra che ce ne sia uno anche sull’uso di un detersivo al posto di un altro, per esempio.

Quelli che appartengono alla categoria dei bravi abitano in un quartiere a loro riservato che ospita l’antica e prestigiosa Via delle Certezze e la maestosa Piazza dell’Assoluta Verità.
Viaggiano sempre sul marciapiede e, quando li incontri, ti lasciano, o benevolmente ti spingono sotto, cosicché il loro sguardo possa partire dall’alto.
D’altra parte, i dodici\quindici centimetri di cemento lo consentono e, sebbene tu provi in vari modi, anche sudando per l’impegno e la fatica, ti impediranno di salire per guardarli negli occhi: è come se ci fosse, tra te e loro, una lastra di vetro.
Si illudono, poveretti, di farti sentire, letteralmente, una cacca, in realtà, tutti sappiamo che le cacche stanno anche e soprattutto sui marciapiedi (colpa, questa, non certo dei cani, ma piuttosto di umani maleducati). Di conseguenza, non hanno valutato, ahimè per loro, che smacco! che proprio sopra al marciapiede aumenta la probabilità di schiacciamento di cacche da parte di qualche pedone distratto.

Ecco, mi piacerebbe proprio chiedere a lor signori se hanno sentito mai il suono dello splash nel momento dello schiacciamento, ovvero quello della loro testa sotto la suola della scarpa o il cattivo odore che tal gesto emana (per referenze rivolgersi al proprietario della scarpa) o, ancora, vorrei che mi descrivessero la sensazione di smarrimento provocata dal liquefarsi della materia. Paradosso poi sarebbe se il proprietario della scarpa facesse causa per danno…
Sarebbe da ridere

Ilidia Comparini – La strega vera