Pubblicato in: Racconti

La parola matta

La parola.

L’incontrai un giorno nell’atrio della scuola, era l’ora dell’intervallo, tutti fuori dalle aule, ma ordinati in gruppetti minimi di tre o di quattro; davanti alla porta dell’aula, con un orecchio teso a carpire il richiamo della maestra e l’occhio lungo per vederne le mosse.

Dicevo della parola, era deliziosa, mi catturò per le sue forme, ma al di là di questo, mi colpì per l’essenza.
Così, oltre a passare del tempo durante la ricreazione, eccoci trasformati in amici di banco, quelli che i fotografi amavano ritrarre in pose plastiche tipo penna in mano posata sul quaderno aperto, con lo sguardo rivolto verso l’obiettivo ed il sorriso nuovo color bianco-latte interrotto da buchi neri da riempire.
Diventammo indivisibili e il nostro divertimento era assoluto, soprattutto quando giocavamo a nascondino: la birbona pensava che i luoghi che sceglieva fossero inaccessibili per me, ma il mio innato sesto senso mi guidava verso il luogo nascosto.

Nel mese di Febbraio fummo invitati ad un compleanno di un nostro compagno di classe, vivevamo tutti in uno di quei casermoni-tipo dell’architettura fascista, di quelli che su un piazzale si aprono otto condomini, ecco, lì.
Michele, il nostro amico, era considerato uno dei più fortunati ché aveva il padre che lavorava in ferrovia e, dunque, lui sì che lo stipendio ce l’aveva e poteva festeggiare il compleanno.
Festa a sorpresa, l’avevano chiamata e lo capii non appena misi piede nell’appartamento, dopo aver salutato mia madre che mi aveva accompagnato.
Eh……..mia madre………. non mi avrebbe mai lasciato al portone di casa o in fondo alle scale , figurarsi! “doveva fidarsi, lei” (precise parole sue, queste).
Insomma, ero stato letteralmente consegnato alla madre di Michele la quale, subito dopo, con noncuranza, mi aveva invitato a raggiungere i miei coetanei ed era entrata in una stanza che si apriva sul corridoio d’ingresso; lì, erano riuniti gli adulti, tutti seduti intorno ad un tavolo pieno di vassoi e dolci e tazze fumanti.
Indossai la tipica circospezione del bambino di dieci anni che è in un ambiente a lui ignoto e, a piccoli passi, percorsi il corridoio e finalmente trovai le stanze dei giochi.
Ma non riconoscevo i ragazzini presenti e l’atmosfera era strana, senza chiasso, senza vocìo.
Come era possibile? Mi aggiravo smarrito per le stanze fra i giocosi protagonisti di quella festa: un gatto, un cane, un pagliaccio, una spagnola, personaggi buffi e sorridenti intenti a giocar a palla, a mondo, a carte, a monopoli. I soliti gruppetti di tre o quattro, cinque al massimo, innaturalmente avvolti da un’aura di quiete. Mi feci coraggio e cominciai a chiedere: Parola? avete visto Parola?
Sorrisi, gli stessi descritti prima, allargati, occhi sereni e mani divertite, ma nessuno rispondeva.
Finché, tutto ad un tratto, eccola, la stolta, eccola lì, balzare da una poltrona e venirmi incontro: così agghindata, mai l’avrei riconosciuta, aveva una maiuscola sulla testa con una piuma rosa.
La memoria mi porge quest’immagine con il velo della commozione, ci abbracciammo, felici di esserci ritrovate e una risata riempì la mia bocca un po’ sdentata.
-Che ti è successo, dimmi – ero curiosa di sapere e la risposta fu – stavo giocando con Silenzio, vieni, vieni – mi invitò, te lo faccio conoscere, è divertente, colorato ed inventa giochi nuovi! –
Mi ha preso per mano. Impossibile allontanarci. E siamo diventati un inseparabile trio, ci hanno soprannominato “il trio dell’ascolto”.

Ilidia Comparini – La strega vera

Un pensiero riguardo “La parola matta

  1. Ogni volta che leggo queste righe, ed è la terza o la quarta volta, credo, mi assale un velo di commozione…..che dire: bella, riflessiva e profonda !

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