È notte fonda, la casa avvolta nel più completo silenzio, un lampione sul viale lamenta una lampadina agonizzante, qualche auto illumina la strada nera, Elise raggomitolata nella coperta ascolta la tromba di Chet Baker che accarezza la poesia “In a sentimental mood”.
Una vecchia poltrona verde marcio l’accoglie insieme ad una usurata coperta di patchwork fatta da sua nonna: l’organizzazione perfetta per i momenti d’insonnia, sublimata da una radiolina tascabile dotata di cuffie.
Ti devo vedere, aspettami domani alle 10,30 alla stazione.
Frasi preparate per non lasciar posto all’emozione, scritte su un pezzetto di carta di una busta per essere sicura di non sbagliare e, appena finito, aggiunge sottovoce ma con stizza: Oh! ecco! Le viene da ridere, le par di vedersi: ha l’espressione di una bambina capricciosa.
Vienimi a prendere, ho bisogno di parlarti.
Il tono è secco di quelli che non ammette repliche o spostamenti, né d’orario né di giorno, ma è e rimane un messaggio ad una segreteria telefonica: il dubbio sull’ascolto rimane.
La pioggia battente tortura il vetro della veranda dove, con un’abitudine quasi maniacale, lei va a mangiare roschette e biscotti preferiti.
Questa sera il cielo è implacabilmente coperto, non c’è speranza che domani possa rasserenare, a meno che non si alzi un forte vento, magari un tagliente libeccio.
Fosco ascolta la segreteria telefonica e rimane perplesso; quel tono, lì per lì, non gli è piaciuto, è un tono di comando.
Ma chi crede di essere? Non intende rivederla, tanto meno parlarle o risentirla. Perché non capisce?
Il silenzio e l’assenza non erano stati sufficienti come forma di comunicazione?
Insomma, a quest’età è tutto più difficile, volersi bene, innamorarsi, ricominciare, no dai, è faticoso, troppo faticoso: gravoso. Insomma no! non ne aveva voglia.
Ascolta di nuovo il messaggio, tanto ormai non se ne parla di dormire, si accende una sigaretta e sprofonda sul divano mentre guarda il fumo che, libero, scappa via verso il soffitto.
Folco sospira e torna ai ricordi, seduti ad un tavolo di bar con una cioccolata davanti, Elise ed i baffi di cioccolata, e lei che, con tono scherzoso, le raccontava del soprannome che i suoi familiari le avevano affibbiato la comandante, perché talvolta, con tono burbero, obbligava tutti a far rispettare le regole.
Gli scappa una risata senza voglia: non aveva creduto a una sola parola in quel momento, non aveva creduto che quello stile calzasse su chi a lui era apparsa come interiormente fragile, instabile, insicura, divisa, strappata.
In questo modo gli era apparsa un giorno: “era capitata”. “Era capitata” insisteva a raccontarsi la storia, per far scivolare via il desiderio di qualcuno a cui voler bene, per liberarsi del manifesto volere qualcuno da amare.
Embè adesso doveva ricredersi invece: eccome!, parole semplici con tono aspro e duro, la comandante l’aveva richiamato all’ordine.
La tv sta trasmettendo un documentario sulle Ande, le immagini scorrono sul monitor ma l’attenzione di Folco è da un’altra parte.
Durante i loro incontri, Elise le si era mostrata come esteriormente protetta da uno scudo, schermata da una corazza, faceva un passo avanti per farsi conoscere e due indietro, volutamente, non appariva per niente consequenziale, tanto che lui più volte l’aveva aggettivata “buffa” e, per la paura di offenderla, tutte le sante volte lui aveva spiegato e chiarito quanto di benevolo ci fosse in quell’aggettivo; Elise, dalla sua, accettava quasi scherzosamente volentieri l’uso di quell’aggettivo, si stava quasi convincendo di essere veramente così, accettava e stava al gioco, le piaceva essere buffa.
Il brano sta finendo, Elise sgranocchia un altro biscotto in attesa del prossimo, è notte fonda ed è già giovedì.
Il giovedì era il giorno prestabilito per incontrarsi, lei aveva giorno libero a scuola, lui si prendeva giorno libero dallo studio, una sola volta alla settimana, a causa della distanza ed i chilometri che li dividevano, ma nonostante questo il loro rapporto sembrava davvero progredire verso uno sbocco positivo. Elise sente le sue labbra tendersi in un sorriso compiaciuto e fiero.
C’era, e non poteva essere negato da nessuno dei due, una effettiva sintonia di pensieri e di idee, straordinaria per la loro poca frequenza. Sia chiaro, non che fossero tutte rose e fiori, molto spesso le idee si scontravano e tutto sfociava in un bisticcio che vedeva Folco in attacco ed Elise che arroccata in difesa, che si pavoneggiava dietro a quella sua lucente e inattaccabile corazza chiusa.
Come la prima volta che saltò quell’unico appuntamento settimanale, il sorriso di Fosco sottolinea la memoria di ciò che poi gli scrisse:
“Che sono arrabbiata, tu lo immagini! Non solo mi devo accontentare di scrivere anziché parlare (e questo dipende da tanti fattori), non solo lo devo fare quando trovo i ritagli di tempo e non quando lo voglio io, cioè quando mi pare e piace, non solo mi devo accontentare di parlare con dei capelli (solo io che sono pazza posso riuscire a farlo!), ma oltretutto…….
Si, sono egoista e allora? Devi solo provare a rimproverarmi! Solo un po’ poi vedrai che guerra scateno!
E Come????? Cosa dici? Oh sì, ma certo lo so che i tuoi occhi sono azzurri, anzi celesti come tu li hai definiti, e questo dovrebbe bastarmi?
Il colore conta poco: gli occhi devono essere visti perché possano comunicare tutto ciò che gli altri sensi percepiscono.
Ma porcamiserialadrainfame avrei una marea di cose da dirti, pensieri e raccolte di parole, frammenti di dialoghi, di conversazioni, che mi stanno mettendo in evidenza qualcosa di te, ma non mi andrebbe di farlo così, per lettera.
E stasera non ci sarai, non ci saranno tuoi messaggi, non ci saranno tue mail, mi sembra logico, porcamiserialadra chissà cosa farei per litigare con te a voce alta, urlando.
È inutile che mi arrabbi ora, e qui, e senza di te, non ha senso, fa male a me e basta, e fa ridere te, dopo.
Ciao
Elise”
Il loro era veramente un gioco puerile ed era, quello del gioco, un bisogno urgente, tanto che da un unico dialogo settimanale (reale) passò ad uno scambio giornaliero di mail prima, poi si tramutò in bi-giornaliero dopo, e alla fine diventò uno scambio di mail con intervalli di poche ore il sabato e la domenica, quando tutti e due erano più liberi dalle loro occupazioni solite.
“Hoooooooooooooooooo, scarrrruffffooooonnnnnaaaaaaaa, ovvia via che stasera si ride. Se si ride non lo so e non m’importa, l’importante è un’altra cosa…….
Collegamento breve oggi: non mi reggerà più di 5 o 10 minuti, se non dovessimo sentirci, buona notte e buon riposo (quando sei a letto dormi e non pensare al giorno dopo) e buona giornata.
Il tuo buongiorno è meglio di un caffè di mattina
Ciao
Folco”
Lo sguardo si posa sul cellulare, Folco è tentato di ascoltare per l’ennesima volta il messaggio, come se ad ogni ascolto quelle parole ruvide manifestassero dettagli inespressi e ignoti e mentre pensa questo, considera che il cellulare è diventato uno scrigno prezioso, pieno di particolari reconditi.
SMS – mi sembra d’essere in una pubblicità, sto accarezzando le curve delle colline toscane…. Dolcemente e c’è il sole che illumina la terra, sai? Sembra bruciata e poi… oliveti, vigneti ingialliti cipressi.
La sensazione è quella di far parte di un tutto. Dai indovina! dove sono?
Era un desiderio di condivisione: descrivere, per esempio, un paesaggio strano come se vi assistessero insieme, o ancora di raccontarsi sensazioni o percezioni provate.
SMS – guardaaaaaaaaaaaaa che bella la luna …………….. siamo sotto lo stesso cielo!
Entrambi avvertivano il bisogno urgente di comunicarsi, quasi in tempo reale, la quotidianità
SMS – accipicchia, traffico a gogò, non sono riuscita a passare dal supermercato, non so cosa preparare per cena…. che mi mangio? Surgelati? Che schifooooooooooooo!
E la privacy
SMS – Non riesco (o non voglio) decodificare – moti istintivi teneri -, mah!
Elise si alzava anche di notte per comunicare indirettamente attraverso la posta elettronica, oppure, quando insonne si spostava nella sua amata veranda, si portava il cellulare, chiuso nella tasca del pigiama, per potergli lasciare il messaggio nella segreteria telefonica.
Si comportavano come due innamorati senza avere la consapevolezza di esserlo o come due assetati d’amore che si accontentavano di fiumi di parole, partecipavano attivamente a questo gioco di scambio, si cercavano continuamente con intensità di parole, che nascondevano sguardi e pensieri.
In questo modo, anzi, in questo gioco, la distanza pesava meno.
“Non so, forse ti sto solo facendo un grande casino, perdonami, ma avevo voglia di parlare con te. Il caffè, Elise, lo ricordo in tutti i sensi, credimi e ne sento un gran bisogno.
Lo sai che i capelli rendono caldo solo a toccarli?
Bacio
Folco
Non resisto, devo dirtelo: sei dolcissima e quando vuoi simpaticissima.
(Anche questo, sai che puoi esserlo e non rimuginarci sopra per dimostrarti che non è vero e non più vero).
Altrimenti ti dico: stronza, e in modo tagliente.
Ribacio
riFolco (però, sì, però)
(segue)
Ilidia Comparini – La strega vera