Smarrimento. Smarrimento e confusione. Questo è ciò che personalmente io provo in questo periodo, in questo anno.
La prima bordata di coronavirus l’ho respinta con la resistenza passiva, la resilienza, anche perché ero stata colpita da un lutto che, credo, di non aver ancora finito di elaborare e chissà se ci riesco.
Come tanti di noi, mi sono rinchiusa in casa (e nel mio dolore) ingolfandomi di cibo, cosa stranissima per una disappetente da una vita come me, e diventando una casalinga sfrenata.
Il rientro al lavoro è stato da mattana, fra istanze di contributi per chi spettava, scadenze e clienti da confortare con la pacca sulla spalla ed il sorriso positivo.
Agosto e l’estate sono stati una combinazione ottimale. Pochi e misurati i contatti sociali. Sono tornata a far visita al sole che mi ha offerto la sua compagnia durante la maggior parte delle giornate, ci siamo trovati in riva al mare, sopra scogli odorosi e salati, cercando di interpretare il linguaggio delle onde che risuona nel mormorio. Abbiamo trascorso delle ore libere, leggendo o pisolando, nel tentativo di recuperare tempi e spazi per oziare il più possibile.
Settembre mi stava già facendo l’occhiolino per farsi benvolere poiché sapeva di avere in serbo lavoro e faccende quotidiane e io gli ho mostrato il palmo della mia mano: aspetta, gli ho detto, sii paziente, arriverà anche il tuo turno.
Con il sole, con la compagnia del mio amore e due altri paio d’occhietti adorabili, le giornate sono trascorse lasciando i nostri passi alla natura, alle castagnete, ai boschi e ai piccoli rii e infine agli alpeggi.
Il nostro era diventato un respiro libero, sciolto, sostenuto da un cammino brado, fatto di passi ritmati e segnati da risate, sorrisi, richiami e buonumore.
Eravamo preda di quei suoni apparsi come un miscuglio di suoni confusionari e che invece con il solo permanere si sono distinti: gravi e acuti, alti e bassi, fastidiosi come i ronzii degli insetti, piacevoli come i trilli degli uccelli, flebili e fugaci come le foglie smosse di una lucertola che fugge impaurita, secchi come quello delle foglie secche schiacciate e poi, a tratti: il silenzio. Il Re Silenzio.
Lento, ma fiducioso il mio rientro nella quotidianità: il lavoro, la musica, il movimento. Lento nel tempo e nello spazio.
Ancora pochi e misurati i contatti sociali, siamo ancora in sofferenza, si dice.
E adesso …. Da tempo, stiamo condividendo un altro periodo molto brutto, ma più che brutto vorrei dire strano, proprio perché fatto di smarrimento, di timori, di paure, di incertezza.
L’incertezza: credo sia proprio questo ultimo stato emotivo che si è accentuato e che aumenta l’angoscia e l’ansia insieme al senso della precarietà della vita e alla certezza della morte.
Si pensi alle persone ammalate, agli ospedali con il personale medico e infermieristico esausto.
Un modo strano di vivere, assurdo che si insinua e si manifesta e si liquefa nella vita di ciascuno e si scioglie nella vita di tutti.
Un modo strano di essere ammalati, senza le premure di chi ci è intorno nella vita, ma con le cure amorevoli di infermieri e medici che sostituiscono la famiglia.
Un modo strano di morire, in piena solitudine nel percorso verso il trapasso.
Ciascuno di noi è dentro una bolla, a causa della scarsa vita sociale. Siamo senza respiro.
E non conta quel poco che di sociale abbiamo mantenuto, andare a fare la spesa, chiedere informazioni agli addetti, sorridere alla cassiera, per esempio, o uscire per una visita medica programmata, anche queste banali quotidianità sono vissute con restrizioni, con la distanza, con la mascherina, ecc.ecc.
L’altro giorno, la dottoressa con la mascherina, attraverso il plexiglas, mi ha chiesto di poter vedere il mio viso intero. Le sono stata grata perché anch’io ho potuto vedere il suo.
I nostri sorrisi hanno assunto un valore inestimabile.
E intanto arrivano notizie varie di famiglie a noi vicine e/o conoscenti attaccate dal virus.
Mi è capitato di ascoltare mia figlia che raccontava di una sua amica, dei genitori e dei nonni di questa attaccati dal virus: “ loro non si staccano mai, fanno sempre tutto insieme: gite, compleanni, se non stanno insieme temono di farsi un torto. Accipicchia, hanno proprio capito come si fa a prendere il covid!”. In altri momenti la battuta mi avrebbe fatto ridere, ma se riflettiamo il risultato è rovesciato: stare insieme, in famiglia, è diventato peccato!
Continuano ad arrivare notizie terribili di tanti decessi, notizie austere di future igidiiiià economiche, notizie infauste di imminente miseria, notizie paurose e spaventose.
Tocca tenersi , agguantarsi alle nostre piccole, solite, banali, maniache abitudini quotidiane per “sentirsi”, per autoalimentare le nostre certezze: i nostri cari, la nostra famiglia, le nostre cure per tutti loro, le nostre passioni, il canto, la cucina, il cucito, la lettura, la scrittura, le passeggiate, e chi più ne ha più ne metta.
Dialogando a distanza, con le mie amiche della sezione “soprano” sostenevo che noi tutte siamo favolose per questo, diverse e creative!!!
Ed è ciò che penso che tutti e tutte noi possiamo fare: essere meravigliosamente vivi.
Ognuno di noi cerca di esistere a suo modo, com’è giusto., ma non facciamoci imprigionare dalla pseudo solitudine, che è peggio della solitudine in senso stretto.
Potremmo pensare allora che, talvolta, ognuno di noi sceglie, per opportunità e motivi diversi, la solitudine: per riflettere o per, come dico io, raccattarsi, intendendo il rimettere insieme i pezzi dopo una batosta.
Questa imposta lontananza dagli altri, imposta dall’esterno, per prevenzione e per salute, sembra ci pesi ancora di più.
Come se volessimo vivere la pandemia con il più ferreo consumismo, ora e subito e poi via! Non c’è storia ragazzi, non ce la faremo mai….No, non sono più brava, non sono più capace, sono solo consapevole dell’ineluttabilità. Non se ne esce, fino a che non ci sarà un vaccino efficace.
Sarebbe opportuno l’intervento della dea Pazienza che, ultimamente non si vede più in giro, ci sono voci che abbia perso il potere e che sia stata, dicono, accusata di inefficienza e di ritardi nel conseguimento degli obiettivi.
Della sua sparizione, davvero, conosco a malapena la causa, rumors riportano che non sia più di moda, ma al contrario antiquata e inopportuna,
Io la chiamo in causa, mah! Chi lo sa, magari se è disoccupata, centrerà il suo interesse su di me; non cancellerò (non sono in grado) il problema, cercherò tuttavia di tenerlo sotto controllo, voglio che il mio mondo continui ad essere senza limiti, voglio che la percezione della realtà non si restringa.
Voglio essere fuori moda e controcorrente, in questo momento, voglio essere fiduciosa nel futuro, voglio essere inopportuna nel pensiero, voglio pensare alla vita, per ora.
I giorni torneranno ad essere come erano, anzi migliori di allora: lo vogliamo?
Ilidia Comparini – La strega vera