Il caCCiucco (si scrive con cinque “c”: anche perché così è più saporito!) pieno di pesci poveri e liscosi, dà filo da torcere a quei poveretti che, ahimè illusi, lo confondono con la zuppa di pesce.
Lo stile è quello tipico di questa città che nella contraddizione e nel paradosso vive e che molti scambiano per superficialità, rozzezza, menefreghismo e pazzia.
E poi le tinte: morbide non lo sono per niente, le luci, quasi fossero messe ad arte, illuminano e svergognano quei fatiscenti ex- bei palazzi, rovine di antiche nobiltà comprate.
Chi passeggia per la Venezia (con l’articolo) sotto la luna d’agosto è così matto da non accontentarsi alla fine dello scontato bacio della miss e dell’altrettanta ovvietà di una pozione magica: in realtà vive il fascino salmastroso della triglia con il baffo!
La “Venezia” è il quartiere vicino al porto, è vicino alla Fortezza vecchia, è, insomma il quartiere più antico di Livorno.
Sotto lo sguardo della signora delle maree e del cielo stellato d’agosto, la Venezia si prepara a ricevere. Si fa festa.
Persone, in una direzione o in un’altra, camminano e si agitano, divise in colonne, strette fra il muretto che guarda il fosso da una parte e gli antichi e alti, non sempre abitati, palazzi da un altro. Occhi di bue illuminano artisti di strada che recitano a braccio melodie di parole; ai nasi vengono offerti odori penetranti di salse, fritture, incensi che coprono quello giornaliero che le acque stagnanti dei fossi esalano nella calma estiva che li fa ribollire. Un gozzo scuote le acque ferme del fosso e una voce risuona di canti di stornelli antichi. Suoni di tamburi, melodie d’orchestrine di jazz, musiche etniche s’intrecciano ed abbracciano l’intero quartiere e tanta, tantissima gente colorata, affascinata ed in movimento.
È il palcoscenico giusto questo, per danzare per strada, senza vergogna, senza remore, senza timore di sentir sussurrare “ma quella? E’ proprio matta!”,
Passeggiare per la Venezia permette di assaggiare un’emozione, di celebrare un rituale che vedrà la sua fine, dopo; e quel quarto di vino bianco frizzante e fresco che accompagna il cartoccio di carta gialla pieno di totani fritti contribuisce non poco a destabilizzare la razionalità, esortando a spiccare il volo verso il sogno.
Ad ognuno il suo di sogno per continuare a celebrare quel rituale, che avrà fine dopo, sotto lo sguardo della luna, signora delle maree.
– O un lo sapevo! Gira e rigira la fune s’annoda! Te l’avevo detto di un bè’ ir ponce che poi alla fine avresti visto lucciole per lanterne! boia dè sei dura come le pine verdi! Dammi retta, è pisano! cosa ti vuoi aspetta’…….. Ti risponderà – Gao’ -, ma voi mette’ con un ber – boiadè -? meglio all’uscio vai……. luilì…… meglio perdilo ‘he trovallo”. Così fu risposto a chi fece la proposta di assaggiare il pisano……… la Torre oltre che storta è anche dura a digerirsi, meglio un bel bicchiere di vino rosso sul caCCiucco…….. e le lische: bimba, del mare è buono tutto: mai provato a “ciucciare” uno scoglio? 🙂
Dolce notte Venezia, ringrazio te dell’attenzione e da “ragazza” , quale non sono più, ti offro il sorriso aperto generoso e matto, ma sincero e umile.